L’albergo diffuso
Un’opportunità per “riciclare” il patrimonio costruito e rigenerare i piccoli centri di montagna
Nelle Dolomiti esistono villaggi quasi disabitati, dove l’albergo diffuso potrebbe diventare un’opportunità.
Nelle Dolomiti patrimonio dell’UNESCO lo sviluppo dell’ospitalità turistica rappresenta sicuramente un importante motore di sviluppo. Non si possono nascondere tuttavia i rischi che il turismo può comportare per l’integrità del sito: snaturare le identità dei luoghi, accentuare le condizioni di marginalità, aumentare la pressione urbanistica, indebolire le comunità locali, sono alcuni dei possibili effetti negativi di uno sviluppo turistico improprio. È quindi urgente riflettere in maniera strategica sull’ospitalità turistica nelle Dolomiti, non solo in ottica di sviluppo economico ma anche di rigenerazione sociale e territoriale. Com’è noto, gran parte della montagna dolomitica soffre di un surplus di patrimonio costruito: seconde case turistiche poco usate, certo, ma anche moltissimi edifici civili e rurali in disuso o abbandonati a seguito dell’emigrazione, del calo demografico, della modernizzazione dell’allevamento e dell’agricoltura di montagna. Per lo più questi edifici sono situati nei villaggi o sui versanti, e in qualche caso, com’è emerso durante la ricerca sulle strutture obsolete (STROBS, Dolomiti Première, nr. 1) si trovano anche dentro il perimetro del sito UNESCO o nell’area buffer. In tutti i casi si tratta di una grande opportunità da cogliere nel quadro della gestione del patrimonio UNESCO e in generale del territorio dolomitico.
Nel 1982 si propone a Comeglians, piccolo comune della Carnia, il primo progetto di albergo diffuso
Va in questa direzione il modello dell’albergo diffuso, una particolare forma di ospitalità che nasce per recuperare il patrimonio costruito e attivare processi di sviluppo locale, in quelle situazioni marginali dove il declino demografico ha lasciato dietro di sé un numero di abitazioni che supera le necessità della popolazione residente. Il termine albergo diffuso viene usato per la prima volta nel 1982 nel progetto pilota di Comeglians, piccolo comune della Carnia, ma di ospitalità diffusa si era già cominciato a parlare dopo il sisma del 1976, proponendo un riuso a fini turistici di case e borghi disabitati. Nell’albergo diffuso le camere sono distribuite in edifici esistenti, restaurati, sono collegate idealmente tra loro e fanno riferimento a una reception unitaria. Soprattutto, dietro l’albergo diffuso c’è o dovrebbe esserci un gruppo di persone unite da un progetto comune a sfondo sociale e territoriale.
L’albergo diffuso infatti si rivolge ad un turista non convenzionale, che sceglie mete non troppo rinomate ed è interessato a partecipare alla vita del luogo che lo ospita, ad una ospitalità familiare e interattiva. In questo senso molti alberghi diffusi sono diventati promotori d’iniziative culturali e di attività sportive, e hanno rafforzato o addirittura favorito il sorgere di altre realtà economiche collegate, come ristoranti, aziende agricole e agriturismi, bike-renting, guide naturalistiche.
I numerosi esempi di alberghi diffusi presenti nel territorio dolomitico, soprattutto in Friuli e Veneto, presentano peculiarità proprie frutto dei diversi percorsi culturali, politici e legislativi che ciascun territorio ha fatto. In Friuli sono almeno tredici le esperienze attive sul territorio, che lavorano in rete tra loro (www.albergodiffusofvg.it). Nella montagna veneta le prime esperienze sono a Faller di Sovramonte, dove l’albergo diffuso è collegato con la coltivazione della mela “prussiana” (www.albergodiffusofaller.it), nei dintorni di Belluno (www.iborghidellaschiara.it) e a Costalta in Comelico (www.albergodiffusocostauta.it) dove l’ospitalità diffusa è gestita da un’associazione culturale che propone musica, teatro e poesia.
Gli esempi friulani e bellunesi mostrano come anche nelle aree marginali c’è la possibilità di immaginare iniziative turistiche virtuose, in un’ottica di cooperazione, di circolarità e d’inclusività, prendendosi cura del territorio e del patrimonio costruito.
Viviana Ferrario – Chiara Quaglia – Andrea Turato