Criticità acqua dolce: le riserve idriche della Terra sono in sofferenza
La Nasa lancia l’allarme: 21delle 37 falde acquifere più rilevanti al mondo stanno diminuendo in modo drastico.
La questione è stata sottoposta ad Andrea Goltara di CIRF, Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale.
Quali sono le principali cause dell’impoverimento idrico?
L’aumento della popolazione e il cambiamento climatico stanno modificando i regimi pluviometrici e mettono sempre più sotto pressione le risorse idriche a scala globale. Ma i problemi nascono anche da una pianificazione dell’uso del territorio spesso miope e che è a maggior ragione inadeguata rispetto alle sfide che abbiamo di fronte.
Basti pensare all’impermeabilizzazione connessa all’aumento dell’urbanizzazione che ogni secondo in Italia ci fa perdere, in modo difficilmente reversibile, ben 3 mq di suolo. Questo da un lato aumenta il rischio di alluvioni, dall’altro riduce la quantità di acqua piovana in grado di infiltrarsi nel sottosuolo e quindi nelle falde acquifere. Un effetto simile deriva dalle pratiche agricole più diffuse, che stanno impoverendo sempre più i nostri suoli. La diminuzione di sostanza organica nel suolo riduce drasticamente la sua capacità di trattenere acqua, così come la quantità di pioggia che riesce a infiltrarsi in falda. Aumentare la sostanza organica del suolo con pratiche “conservative” garantirebbe di ridurre sensibilmente la domanda irrigua, di alimentare le risorse idriche sotterranee e anche di stoccare una quantità di carbonio d’enorme rilevanza, come evidenziato dall’iniziativa del “4 per mille” lanciata dalla Francia durante la COP 21, che ha proposto a tutti i Paesi di impegnarsi ad aumentare del 4‰ annuo il contenuto di carbonio dei suoli, per compensare l’aumento di CO2 in atmosfera.
Ma anche la canalizzazione dei fiumi ha impatti sulla disponibilità di risorse idriche, riducendo l’importante servizio ecosistemico di ricarica delle falde, in particolare durante i periodi di piena.
Gli esempi potrebbero continuare a lungo…
Stiamo assistendo a una siccità che non ha precedenti. E non dobbiamo nemmeno guardare lontano. Il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) afferma che in Italia il 2017 è stato l’anno più secco dal 1800 a oggi. I ghiacciai si ritirano, le piogge scarseggiano (in alcuni Paesi sono state inesistenti), laghi e fiumi si prosciugano. Nei prossimi anni, il cambiamento climatico potrebbe moltiplicare l’intensità di questi eventi. In che modo il profilo istituzionale sta affrontando il problema?
Il Governo italiano ha di recente (2015) approvato una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC), che individua ambiti e linee d’azione di adattamento e in seguito un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), che dettaglia le azioni prioritarie per i settori chiave, identificati nella SNAC. Per quanto riguarda specificamente le risorse idriche, il PNACC contempla molte azioni rilevanti, come l’incremento del riuso delle acque reflue, la manutenzione delle reti di distribuzione, l’affinamento dei sistemi di monitoraggio e previsione, la revisione delle concessioni di derivazione idrica, l’applicazione estesa del concetto di deflusso ecologico o la promozione di misure di ritenzione naturale delle acque. Tuttavia la strada per l’effettiva attuazione di queste azioni sembra ancora molto lunga e tortuosa. In primo luogo la PNACC non ha carattere prescrittivo; di fatto, è un elenco di possibili buone pratiche che non dà indicazioni precise sulle risorse economiche a disposizione, sulle tempistiche per l’attuazione o sugli obiettivi da raggiungere e anche le responsabilità attuative rimangono poco chiare. Inoltre, accanto alla SNAC e al PNACC restano attivi molti strumenti strategici, normativi e finanziari che vanno in direzione completamente opposta. Una maggiore coerenza tra politiche diverse e un cambio di passo nell’attuazione sono indispensabili se si vogliono ottenere risultati concreti nei tempi necessari.