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Gli ultimi torrenti “selvaggi” delle Dolomiti, al bivio tra speculazione e tutela

I suoni del torrente ci avvolgono mentre camminiamo lungo le sue sponde: il fragore di una cascata, il canto della ghiaia che saltella verso valle sospinta dall’acqua, il risucchio della corrente che si insinua sotto un tronco caduto in alveo. In equilibrio su un masso, un merlo acquaiolo, con il petto bianco illuminato dal sole, attende il momento giusto per rituffarsi in acqua. Alla nostra destra si staglia sopra al bosco una parete così imponente e verticale da togliere il fiato, ma allo stesso tempo leggera come può esserlo solo il ricamo di una cresta dolomitica. Superiamo un grosso masso e il torrente si allarga e si divide in più rami, riflettendo la luce del sole in tutte le direzioni. Dureranno il tempo di una piena, poi cambieranno forma, s’intrecceranno e riuniranno nuovamente seguendo la dinamica di ghiaia, acqua e legname che in questo tratto ha ancora modo di svilupparsi in modo quasi naturale. Qui il torrente ha spazio, per ricreare nel tempo le sue forme e quindi i suoi habitat, ma anche per le persone: abbiamo incontrato prima un pescatore intento a lanciare la sua esca, più a valle due bambini che giocavano in una pozza, poco distante alcuni escursionisti che si rinfrescavano nell’acqua dopo una lunga camminata. Siamo lungo il torrente Tegnas, nella parte alta della valle di San Lucano, ma potremmo essere nell’incontaminata Val Franzedas, schiacciata fra la Marmolada e le Cime d’Auta, fra le peccete e i massi ciclopici che costeggiano il Rio Andraz, o lungo le rapide del Rio Ram (Rambach), per citarne alcuni.

Cosa li accomuna? Sono tra i pochi (tratti di) corsi d’acqua ancora relativamente naturali e incontaminati delle Dolomiti (si stima che i corpi idrici in stato ecologico “elevato”, quindi molto poco impattati dall’uomo, siano meno dell’1%), fondamentali per la conservazione della biodiversità, ma anche elemento centrale e identitario del paesaggio dolomitico riconosciuto come Patrimonio UNESCO. Ma tutti questi torrenti hanno almeno un’altra caratteristica in comune: la loro integrità è a rischio ed entro qualche mese o anno, potrebbero essere compromessi irrimediabilmente. Come tanti altri potrebbero essere travolti dalla nuova corsa all’oro (blu) che, sotto la spinta di forti incentivi statali, ha portato in Italia (e in particolare nell’arco alpino), alla costruzione di oltre 1000 nuovi impianti idroelettrici, per un incremento di potenza idroelettrica installata solo del 3%). A oggi sono circa 2000 le istanze depositate per nuove derivazioni1. L’energia idroelettrica, infatti, nonostante sia spesso considerata come “verde” (ed effettivamente lo sia in relazione al cambiamento climatico globale), tale non è per i corsi d’acqua e anzi è ormai ampiamente riconosciuta, in primis dalla CE, come una delle principali cause di degrado della loro qualità ecologica.

Altrettanto importante è l’impatto dovuto agli interventi di protezione dalle alluvioni, troppo spesso attuate in modo eccessivamente invasivo e senza tenere in adeguata considerazione le dinamiche naturali dei corsi d’acqua; sono ancora rari gli interventi più sostenibili, in cui si tenta di restituire più spazio al fiume e ai suoi processi. Per mantenere vive le Alpi è ovviamente necessario un compromesso tra conservazione della natura e usi antropici. Anche gli ultimi torrenti “naturali” sono quindi destinati a essere sacrificati per “fare cassa”? Una risposta chiara ci arriva dall’Europa, che impone vincoli di tutela almeno sulla carta molto severi, come quelli che derivano dalla Direttiva Quadro sulle Acque. Ma la vera chiave è comprendere e riconoscere l’importanza di questi ambienti, non solo per fare in modo che ne possano godere anche le generazioni future, ma anche ai fini della promozione turistica e dell’attrattività di un territorio che fa della natura e del paesaggio il suo principale elemento di forza. Il suono, gli spruzzi, i riflessi delle “acque vive” hanno un valore quindi, e tutelarli conviene, da molti punti di vista. Lo pensano con convinzione, ad esempio, i Comuni francesi che hanno aderito al progetto “Rivières Sauvages2”, che punta a proteggere, di concerto con le comunità locali, dare riconoscibilità e visibilità e quindi promuovere una fruizione sostenibile degli ultimi corsi d’acqua “selvaggi” francesi. Un modello che potrebbe valere la pena di replicare anche nelle Dolomiti.

Testo e fotografie di Andrea Goltara e Bruno Boz

1. Si veda il dossier del CIRF “L’energia “verde” che fa male ai fiumi – Qualità dei corsi d’acqua e produzione idroelettrica in Italia: un conflitto irrisolto”, settembre 2014 (www.cirf.org)
2. www.rivieres-sauvages.fr

credits:
foto1: Un merlo acquaiolo osserva il torrente durante una nevicata pronto per una nuova immersione
foto2: Rio Andraz
foto3: Il torrente Tegnas tra le spettacolari pareti dell’Agnèr e delle Pale di San Lucano

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