HomeStoriaUna storia in verticale

Una storia in verticale

Una storia in verticale

La colonizzazione delle valli alpine, la frontiera tra mondo latino e mondo germanico, l’evoluzione di una cultura di “connessione”, l’abitare, le tradizioni, l’epica.

La storia della regione dolomitica si può leggere nelle trasformazioni del paesaggio legate alla presenza dell’uomo. Già con le prime frequentazioni (10.000 a.C.) e coll’insediamento stanziale (età del bronzo) l’uomo ha cercato di adattare l’habitat circostante alle proprie esigenze, anche se le modifiche apportate al paesaggio naturale si fanno apprezzabili solo dalla metà del I millennio. A quel tempo popolazioni di origine celtica e retica costruirono i primi insediamenti stanziali e la prima rete organizzata dei sentieri e dei valichi di comunicazione tra l’Europa centro-settentrionale e quella del sud.
Il contatto fra le popolazioni alpine indigene (principalmente Reti) e le popolazioni romane portò all’elaborazione di una nuova cultura e di una nuova lingua, detta appunto reto-romanza. Questa cultura, essenzialmente orale e rurale, impresse al paesaggio forme che si possono osservare ancor visibili, unendo l’abilità di organizzare e gestire il territorio, tipici della matrice latina, alle conoscenze di tecnica agricola in ambiente alpino delle popolazioni retiche: le “vìles” rappresentano un modello insediativo originale e unico.
Certamente nel periodo di occupazione romana le valli principali videro trasformazioni piuttosto evidenti, ma fu durante l’epoca tardo imperiale e alto medievale che si assistette ad una vera e propria trasformazione dell’assetto paesaggistico.
Nonostante il territorio dolomitico fosse attraversato dal confine linguistico italo-tedesco, segno dell’affermazione delle grandi culture nazionali, la cultura ladina resistette e si consolidò nelle parti più interne e meno frequentate. I suoi elementi sono diffusamente visibili nel paesaggio, nelle costruzioni (sobrie abitazioni di legno o in muratura, abbinate al fienile e alla stalla, le cui tipologie variano da vallata a vallata mantenendo tuttavia inalterate la struttura ed alcune soluzioni formali) e nella letteratura epica.
Infatti, se il paesaggio delle vallate è frutto delle trasformazioni rurali e degli usi tradizionali, il paesaggio delle alte quote si rispecchia nei cicli delle leggende: picchi e montagne costituiscono le fortezze di mitici regni, frane e macereti sono le rovine di scontri leggendari, strane rocce e piante derivano da metamorfosi magiche. Anche i fenomeni naturali, come l’enrosadira o l’ercaboan, sono giustificati attraverso presenze soprannaturali (stregoni, ondine, spiriti, fate, orchi, giganti e nani).

La scoperta delle dolomiti: le prime esplorazioni, l’evoluzione delle teorie scientifiche, Dolomieu, von Buch, von Humbolt, Mojsisovich.

Nel XVIII s. l’area dolomitica era un territorio quasi sconosciuto, distante dalle principali vie di commercio e di cui erano note solo alcune località. A quell’epoca l’economia era prevalentemente agro-silvo-pastorale, di mera sussistenza e caratterizzata da una forte stagionalità. Le scarse alternative all’attività rurale erano l’artigianato del legno, e una certa attività mineraria. Le prime esplorazioni furono strettamente legate alla ricerca mineraria, alla quale diede una grande spinta G.Arduino (1714-1795), ispettore minerario della Repubblica di Venezia.
Il contatto fra le aree meridionali veneto-padane e quelle settentrionali austro-tedesche favorì anche una modesta attività di transito mercantile e il commercio del legname, alimentato dai boschi di proprietà collettiva ed orientato in gran parte verso la Repubblica Serenissima di Venezia.
L’impulso decisivo alla conoscenza delle Dolomiti arrivò dallo scienziato francese Déodat de Dolomieu (1750-1801), che campionò per la prima volta, nei pressi di Salorno, rocce ricche di un carbonato di calcio poco reattivo all’acido, poi chiamato in suo onore dolomite.
Collegata ai traffici di passaggio si era sviluppata una modesta rete di accoglienza (osterie, locande, guide e cambiacavalli), sulla quale si innestò successivamente l’attività turistica vera e propria.
Tra il 1800 e il 1850, nel periodo in cui la scoperta della dolomite si diffuse in tutto il mondo scientifico, le Dolomiti furono attraversate solamente da pochi studiosi interessati esclusivamente agli aspetti geologici.
All’inizio del XIX s. gli scienziati A.F. von Humboldt (1769-1859) e C.L. von Buch (1774-1853), fermatisi a Predazzo ed esaminate le formazioni rocciose circostanti, misero in dubbio la teoria nettunista a favore di quella plutonista, poi definitivamente confermata dal naturalista G. Marzari Pencati (1779-1836) grazie alle osservazioni nella cava di Canzoccoli. In breve tempo Predazzo e le Dolomiti divennero il fulcro dello sviluppo del pensiero geologico.
Nella prima metà del XIX s. i contributi dati da numerosi geologi (T.A. Catullo, 1782-1869; G.G. von Münster, 1176-1844, A. Stoppani, 1824-1891) chiarirono l’origine organica delle montagne dolomitiche, descrivendone le faune marine del Triassico ed individuando il ruolo primario delle spugne e dei coralli nella formazione degli atolli carbonatici triassici. F. von Richthofen (1833-1905) interpretò gli atolli delle Dolomiti come corrispondenti fossili delle attuali scogliere coralline dei mari tropicali e produsse degli schemi geologici per alcune di esse.
Dopo il 1850 invece, con il diffondersi delle immagini di alcuni gruppi (Sassolungo, Latemar, Sciliar, Catinaccio, Marmolada, Civetta, Pelmo, etc.), si cominciò ad affermare un traffico di viaggiatori curiosi di vedere il “baluginare delle pallide guglie dolomitiche” e di esploratori in cerca di avventura sulle “cime inviolate” e nelle “valli inesplorate”.
Verso la fine del XIX s. altri importanti studi paleontologici descrissero le faune permiane e triassiche ad ammoniti (G. Stache, 1833-1921; F. Hauer, 1822-1899), ma soprattutto J.A.E. von Mojsisovics (1839-1907) descrisse minutamente le geometrie degli atolli fossili, distinguendo le zone interne (stratificazione orizzontale) dalle zone esterne (massicce stratificazioni inclinate fin dall’origine). Infine, un importante contributo alla comprensione dei rapporti tra atolli fossili, bacini sedimentari e vulcani del Triassico, fu dato da M.O. Gordon (1864-1939), la prima donna a ottenere un dottorato di Scienze della Terra, che trascorse grande parte della sua vita a studiare la geologia delle Dolomiti.
Dopo le prime imprese alpinistiche, le scalate e le ascensioni si moltiplicarono sia a opera di guide locali che grazie all’ardimento di alpinisti stranieri (tedeschi, austriaci, inglesi). Fu grazie a queste imprese sportive che si assistette alla costruzione, da parte dei maggiori Alpine Clubs d’Europa, di numerosi rifugi e bivacchi in alta quota, al fine di facilitare i sempre più numerosi escursionisti e scalatori.
Tra i 1870 e il 1910 la frenesia alpinistica raggiunse i massimi livelli, accompagnata da un sempre crescente sviluppo dell’attività ricettiva e turistica nelle valli. Gli esercizi alberghieri si trasformarono progressivamente passando dalla fase pionieristica a una vera e propria attività economica di livello europeo, paragonabile per alcune località (Cortina d’Ampezzo, Sesto, Carezza, Misurina) alle più rinomate stazioni turistiche delle Alpi svizzere. In questo periodo furono costruite la Grande Strada delle Dolomiti e la Strada del Passo Rolle che collegava la valle di Fiemme ed il Primiero.
Nel XX s. le Dolomiti acquisirono sempre più importanza scientifica e ricercatori da tutto il mondo vennero a studiare e a proporre modelli di riferimento per le scienze della Terra. Tuttavia la I Guerra Mondiale interruppe bruscamente questo periodo di floridezza e marcò negativamente lo sviluppo economico delle comunità locali. Al generale impoverimento corrispose la devastazione civile e materiale causata dal conflitto, che in alcune zone fu particolarmente aspro.

La Grande Guerra. 

La Guerra Mondiale interessò l’area dolomitica con un fronte di circa 250 km nel periodo che va dal maggio 1915 all’ottobre 1917. Le scelte tattiche dei militari di entrambi gli schieramenti portarono rapidamente a una guerra di posizione, che richiese un impiego logistico impressionante, per poter garantire il collegamento con le principali vie di comunicazione (da nord la Brennerbahn lungo la valle dell’Adige e la Südbahn lungo la val Pusteria, da sud la Ferrovia Padova-Calalzo e la Ferrovia Conegliano-Belluno).
Durante il conflitto il paesaggio delle valli fu fortemente trasformato da infrastrutture che rimangono ancor’oggi. Furono infatti costruite numerose strade carrabili e persino alcune ferrovie a scartamento ridotto (Val Gardena, Valle di Fiemme, val di Landro e del Boite), che permisero di raggiungere anche le valli più laterali e resero il territorio dolomico particolarmente accessibile.
Anche lo skyline delle Dolomiti fu modificato per sempre. Le prime linee, poste in corrispondenza delle cime e delle creste, furono fortificate con complessi sistemi di gallerie, trincee e cunicoli, lunghi parecchi chilometri e scavati spesso con l’ausilio del martello pneumatico o delle mine. A ridosso di queste furono costruite ardite teleferiche, che permettevano di giungere fin sulle vette più elevate. Allo stesso modo furono realizzate innumerevoli mulattiere e strade militari, ancor oggi efficienti, che consentivano l’accesso fino nel cuore dei principali gruppi dolomitici (Dolomiti di Sesto, Marmolada, Tofane).
Per rifornire gli avamposti furono realizzati acquedotti, linee elettriche e telefoniche, stazioni radio; pesanti pezzi d’artiglieria furono trasportati fin sulle postazioni più alte, a quote prossime ai 3000 m (Cima Grande di Lavaredo, Marmolada). Anche i ghiacciai furono teatro di battaglia: la rete di gallerie, postazioni e accampamenti scavata nella Marmolada fu talmente ampia ed estesa da meritare l’appellativo di “città di ghiaccio”.

Cesare Micheletti

credits:
foto1: Scialpinisti in azione negli anni Trenta.  Brenta invernale. – Crediti fotografici Cierre Edizion
foto2: Aratura di un campo in Val di Fassa. Fine ‘800 – Crediti fotografici Cierre Edizioni 
foto3: L’albergo “Nave d’oro” a Predazzo alla fine dell’800. (Photo Franz Dantone)
Archivio Fotografico dell’Istituto Culturale Ladino “majon di fascegn” – Vich/Vigo di Fassa (TN)
foto4: Maria Mathilda Ogilvie Gordon, la prima geologa che esplorò le Dolomiti
Archivio Museo delle Scienze – Trento
foto5: I coniugi Neruda e Theodor Christomannos, ideatore e promotore della “Grande Strada delle Dolomiti”. 
foto6: Archivio Cierre Edizioni
foto7: Copertina della rivista illustrata «Neve e ghiaccio», del gennaio 1936. 
Archivio Cierre Edizioni 

Share With: