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Reinhold Messner: un uomo, una terra, una verità

Reinhold Messner: un uomo, una terra, una verità

Reinhold Messner non è fatto per ruoli di serie. Il vero ruolo per lui è quello che si è costruito intorno alla sua personalità. Da ammirare.

È stato un onore intervistarlo, condividere un po’ dei suoi progetti, traguardi e vittorie. Con quanto leggerete abbiamo voluto far passare qua e là, senza dottrinarismi, un pizzico di pensieri puliti di un uomo che ha lottato ogni attimo nella propria vita per ciò che riteneva giusto, assolvendo a un dovere “personale” che tutti sono tenuti a prestare, a seconda dei mezzi che si hanno a disposizione. E lui lo ha fatto.

Reinhold alpinista di fama mondiale, impegnato socialmente nella difesa dell’ambiente e della qualità della vita delle genti di montagna. Europarlamentare dal 1999 al 2003 e fondatore, accanto ad Edmund Hillary e Carlo Alberto Pinelli di Mountain Wilderness International (Biella, 31 ottobre 1987). È stato il primo alpinista al mondo a scalare tutti quattordici gli ottomila, senza ossigeno. Ma già aveva portato nelle Dolomiti scalate estreme, in primis nel suo regno di nascita, le Odle, poi in Marmolada e sulle Tre Cime di Lavaredo. Messner non è solo questo: è stato esploratore, al
Polo Sud come nel deserto dei Gobi (Mongolia). Ha saputo, grazie ai suoi innumerevoli libri, portare l’alpinismo all’attenzione di migliaia di lettori, è infatti autore tradotto in tutto il mondo.

Il suo ultimo affascinante viaggio riguarda un circuito museale suddiviso in sei diverse sedi nell’arco alpino (MMM – Messner Mountain Museum). Castel Firmiano (Firmian) è la sede principale, nel quale, appena varcate le mura, si prova la sensazione di compiere un trekking avvolti da voci diverse: si fondono luoghi, emozioni, esperienze, ma soprattutto si percepisce una forte spiritualità. Cinque i musei satelliti che raccontano non solo d’alpinismo e di vette, ma anche del rispetto che molte popolazioni montane riservano alla Natura.

IL MIO FASCINO PER L’ALPINISMO…

è nato da bambino perché non avevo altre possibilità per esprimermi (non c’erano campi da calcio, piscine o altro). Inizialmente con gli amici si arrampicava sulle piccole rocce e poi sempre più su. A cinque anni, nelle Odle, sono salito sul mio primo tremila e a vent’anni ero in grado di ripetere le vie più difficili delle Dolomiti, dove peraltro ho scalato tante prime. Avrei voluto salire altre vette nel mondo, ne ero attratto… ma come arrivarci? A quei tempi avevo due scelte: bicicletta o lambretta, quindi un tantino complicato. Il mio periodo di avventuriero al di fuori delle Dolomiti è arrivato più avanti.

DIRETTISSIME, COSA NE PENSO…

sono cresciuto dopo il periodo delle direttissime, ma ho subito intuito cosa sarebbe accaduto affrontando la montagna in modo così diretto e aggressivo. Piantare chiodi a espansione per procedere il più diretti possibile verso la cima non possiede alcun valore e né rende onore alla muraglia di roccia che si desidera salire. Non esistono compromessi, si evita la fatica. La parete va vinta a tutti
i costi. Chiodo dopo chiodo. Ma in tutto questo non c’è alcun rispetto per la montagna. Nel ’68 ho scritto un articolo in merito “Assassinio dell’impossibile”. In quello che ho scritto ho esposto la mia filosofia, asserendo che l’alpinismo perde di motivazione se sfidato senza seguire la naturale struttura della montagna. È stato abolito l’impossibile sulla roccia, lo abbiamo ucciso perché
ci serviamo della tecnologia per superare qualunque ostacolo. Ma forse non è chiaro: l’alpinismo vive dell’impossibile. Ogni generazione da 200 anni a questa parte non fa altro che cercare il sistema per annientare l’impossibile della generazione precedente. E questo disturba anche quell’alpinista che è ancora disposto a confrontarsi con le difficoltà che possono presentarsi durante la
scalata e ad aggirarle facendo uso della propria abilità e del proprio coraggio. Da questo mio articolo è nata una nuova filosofia d’alpinismo: l’incontro della natura selvaggia con la natura umana. Leggi che ci sono state date da milioni di anni e che dobbiamo onorare.

LA SOPRAVVIVENZA DELLE POPOLAZIONI MONTANE NELLE DOLOMITI…

è un tema che mi sta particolarmente a cuore. Ho vissuto per 10 anni con gente di montagna di tutto il mondo, dal Tibet alle Ande e ho imparato una cosa: che non vi è una grande differenza tra loro e i contadini di questi luoghi che vivono grazie a ciò che l’agricoltura e l’allevamento può dare loro. La montagna detta le regole e ha costretto la gente a comportarsi in un certo modo e a seguire i ritmi della natura, qui e nel resto del mondo. Personalmente seguo tre Masi di montagna e uno di questi è autosufficiente e quindi conosco le difficoltà che si incontrano nel gestire
in modo produttivo aziende di questo tipo. Il problema è che lo Stato con le sue politiche non tiene conto dei problemi che un contadino deve affrontare giornalmente. Ma questo accade perché le decisioni sono prese da persone che vivono in città e non hanno alcuna idea di come possa essere la vita in montagna. I contadini dovrebbero essere lasciati fuori da questi giochi sporchi e dalla poca conoscenza del territorio montano, perché continuando su questa strada rischiamo di annientare il tessuto agricolo di queste terre che invece andrebbe incentivato.
Basta guardarsi intorno: i campi sono incolti, i prati sono mangiati dal bosco che avanza, le vecchie cascine o masi dei ruderi. Io lotto contro con tutte le mie forze contro questa forma di politica. Bisognerebbe lasciare maggiore libertà di azione a quelle persone che hanno ancora la volontà di chinare la schiena. Qui in Alto Adige la situazione è decisamente migliore che in altre zone di montagna grazie ai Masi chiusi. Ma in altre regioni come ad esempio nel bellunese, molti contadini hanno abbandonato la terra. Lì è tutto distrutto. In Francia, e questo è interessante, molti
giovani che non hanno trovato lavoro in città, sono andati in montagna e hanno iniziato un’agricoltura innovativa, prendendo grandi superfici abbandonate da cinquant’anni. Ne porto a esempio una nella quale fanno pascolare oltre 2000 pecore. Con il latte producono grandi quantità di formaggio che poi viene piazzato sul mercato. Affinché questo accada bisogna che lo Stato subentri,
sovvenzionando idee come questa, che fanno rifiorire realtà ormai in decadimento.

MMM i Messner Mountain Museum…

non sono stati un percorso facile. I Musei sono nati nel Sudtirolo e nelle Dolomiti perché sono un cittadino di questa terra. Ho dovuto superare parecchie difficoltà inquanto non volevano concedermi Castel Firmiano. Una lotta durata cinque anni… pensavo di dover arrendermi. Ma non l’ho fatto e ho provato a trovare un’altra soluzione, quella di dividere il mio progetto in
cinque unità. Quando poi la situazione si è sbloccata ho deciso di fare di Castel Firmiano la sede principale e di proseguire con i cinque Musei satellite. Corones, dedicato al Trad Adventure Alpinism; Dolomites, allestito in un forte della Grande Guerra; Juval, destinato al mito della montagna; Ripa che racchiude opere e oggetti provenienti delle più importanti culture di montagna della terra e infine Ortles, riservato al mondo del ghiaccio.

FONDAZIONE DOLOMITI UNESCO…

so che non hanno fondi, ma so anche che hanno dei bei progetti che andrebbero maggiormente supportati. Sono stato il primo che ha portato l’idea delle Dolomiti come Patrimonio dell’Umanità in Parlamento nel lontano 1991, ma sono stato completamente ignorato. Oggi queste incomparabili montagne hanno conquistato un grande riconoscimento che varrebbe la pena di ampliare affinché da Patrimonio Naturale possa divenire anche Culturale.

LA MIA FILOSOFIA…

è semplice. Nella vita si troveranno sempre dei vincoli, delle strade chiuse, ma sta nel coraggio e nella determinazione di ogni singolo guardare all’obbiettivo finale e fare in modo che un ostacolo divenga un’opportunità per mettersi alla prova. Una debolezza superata è simbolo di grandezza.

SOFIA BRIGADOI

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