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Mauro Corona: nella vita bisogna imparare a togliere…

Mauro Corona: nella vita bisogna imparare a togliere…

Nella vita bisogna imparare a togliere, ma l’uomo ha la malsana abitudine di aggiungere.

Si ammazza di lavoro, s’indebita per comperare oggetti invece di godersi la vita, e quando si ritrova vecchio e stanco, si rende conto degli errori che ha commesso. Ma è troppo tardi. “La vita si scrive in brutta copia”, diceva Ernesto Sabato, e ha ragione perché non abbiamo il tempo di riscriverla o rettificarla. Hai un’occasione sola e non la devi sprecare. Il problema non è invecchiare, ma INVECCHIARE SENZA AVER PERSO TEMPO. 

Alpinista, scultore, scrittore, uomo di montagna che si è affermato in ogni impresa: da dove scaturisce tanta forza?
Scrivere, scolpire e arrampicare mi servono per vivere e andare avanti nei giorni, negli anni, nel tempo. Sono un nutrimento di cui ho bisogno. Tutto quello che ho fatto, anche se viene superficialmente inteso come una manifestazione di energia, o di volontà  di emergere, l’ho voluto per curarmi la malattia del vivere. Alcuni cercano la salvezza in altre cose: droghe, soldi, successo, paradisi artificiali, ville con piscina, attici da 700 mq, automobili e molto altro. Io ho cercato rifugio nelle cose che hai elencato.

Le tue narrazioni portano il lettore a vivere le situazioni in prima persona. In poche parole conduci il lettore a compiere un dialogo con la natura. Come ci riesci?
Sarebbe arrogante da parte mia se avessi uno scopo preciso. Io racconto storie e siccome conosco l’ambiente che descrivo e che ho vissuto in prima persona le situazioni narrate, mi viene facile trasmetterle. Senza alcuna vanità, dico che narro ciò che ho vissuto. Alle volte  esterno sensazioni che possono essere malinconiche, altre esuberanti o gioiose. Sono tracce che restano profonde dentro di me… non faccio altro che esternarle e portare il lettore alla sua primitività. Un tempo l’uomo e la natura vivevano in simbiosi, e vi era una relazione attiva e costante con essa. Oggigiorno questo non avviene più, l’uomo ha perso il contatto con la natura.  Io non faccio altro che condurre il lettore verso quella parte “selvaggia” che è indelebile dentro di lui, ma che oramai è sepolta da mille inutili recite e atteggiamenti di difesa. Basta solo aprire quella porticina…

Hai vissuto la tragedia del Vajont da ragazzo: cosa ha rappresentato nella tua vita quella terribile onda che si è letteralmente mangiata vite e culture?
Con il Vajont si sta cavalcando troppo l’onda. È giusto ricordare i morti e bisogna farlo con serietà e sobrietà. Non voglio iniziare una polemica, ma mi permetto di dire che fare il superstite sembra diventata ormai una professione. Non è una cosa dignitosa, il dolore non va sbandierato. A me del Vajont è rimasto come un incanto, e non è una nostalgia di un poeta decadente. Noi eravamo qui, un popolo tranquillo, ho scritto un libro su questa storia La voce degli uomini freddi. Il Vajont era un torrente che dava la vita, che faceva girare mulini, segherie, torni…
Eravamo un paese di artigiani, perché c’era la forza motrice, l’acqua. Tutto questo era legato da un’amicizia costretta, eravamo costretti all’amicizia, perché era d’obbligo darsi una mano. C’erano le risse, le diatribe, i dissidi ma erano superati dalla necessità di essere uniti, perché se toglievi un grano dalla corona del rosario, questa si spezzava. E tutti ne erano consci. L’armonia che regnava a quei tempi in soli tre minuti è scomparsa. In tre minuti la nostra civiltà che era fatta di mani e di cultura della terra, delle stagioni, della fienagione, del taglio del bosco, si è volatilizzata e non è mai più tornata.  Non sono solo morte delle persone, che è dolorosissimo, ma si è cancellato anche un intero patrimonio di conoscenze. Il tessuto sociale si è disfatto. Non ho più visto il Vajont, non canta nemmeno più. Tutto è stato sepolto dalla ghiaia, dalla frana. Chi è nato dopo la tragedia si sta lentamente dimenticando di cos’è accaduto. Chi ha vissuto in quel paradiso terrestre fa fatica a perdonare e rassegnarsi al fatto che tutto ciò che è successo a causa di uomini cinici, assetati di denaro e di ambizioni private. Ma non è cambiato nulla. Si continua sulla stessa strada: rubano l’acqua, rubano la terra. Anche nelle vostre zone, che sono prettamente turistiche, si sfrutta la terra, la si strizza, per fare soldi, perché ci hanno insegnato che le persone intelligenti e scaltre sono quelle che fanno fortuna. Se poi va a scapito dell’ambiente, pazienza, purché tutto questo porti al successo, al “benessere”. Ci si china al turista, ma è sbagliato. Noi ci siamo inginocchiati ai prepotenti e abbiamo pagato. PIEGARSI ALLA PREPOTENZA DEL DENARO PRIMA O DOPO LA SI PAGA!

Più volte ti sei scagliato contro la gestione di una montagna ormai addomesticata, ridotta a circo, banalizzata. È possibile riprendere un percorso culturale e identitario?
No, non è possibile. Questo non accadrà mai finché non appare una CRISI vera, non come quella che è in atto adesso. Ho scritto un libro in merito a questa faccenda, La fine del mondo storto. Gli esseri umani si comportano come le cicale: fin che va bene, bene, poi si vedrà.
L’uomo non ha la lungimiranza di guardare avanti e purtroppo nemmeno indietro. Se la gode e non pensa ai danni che può innescare con quest’atteggiamento. Negli ultimi anni pervade nell’uomo un nichilismo sfrenato, ha capito che la vita è corta e piena d’inciampi, di magagne, di disgrazie, quindi pensa che morto io, morti tutti. Questo è un nichilismo che mi fa paura. Non c’è nemmeno più un freno inibitorio che era la fede, il Cristianesimo. Ora se ne fregano e i primi a farlo sono proprio loro, cardinali e vescovi. Uno pensa: mi hanno messo qui e quindi mangio, bevo, me la godo e quando sono morto chissenefrega di chi viene dopo. Ecco il principio della fine. Quando una persona ragiona così, è finita.

Ritorniamo alle espressioni artistiche. Scrivere e scolpire: dove e quando s’incontrano queste arti?
Scrivo e scolpisco, non faccio differenze. Nasco ogni mattina e fortunatamente non ho la disgrazia di dover timbrare un cartellino, anche se l’ho fatto nelle cave di marmo dove lavoravo per quindici ore al giorno. Quindi parlo con cognizione di causa.
Quando mi alzo se ho voglia, scolpisco, se mi va di scrivere, scrivo. Ogni giorno nasco in modo diverso, non m’impongo nulla. Se ho voglia di camminare sarò un camminatore. Se ho voglia di bere, un bevitore. La cosa importante è imparare a togliere nella vita, non aggiungere. Togliere parole, togliere legno, togliere movimenti inutili. La vita è una sintesi, e va vissuta come tale.
Purtroppo l’uomo continua ad aggiungere, per avere. I nuovi faraoni, non quelli dell’Egitto, ma quelli cinici che sfruttano qualunque situazione pur di fare soldi, sono quelli che ci hanno reso eroinomani di oggetti. Siamo schiavizzati da questa gente, che ci ha inculcato l’idea che se hai qualcosa sei qualcuno, altrimenti non vali nulla. L’uomo si è fatto prendere dalla droga delle cose. Se non ha l’auto di un certo tipo si sente defraudato della propria personalità. Rudolf Steiner nel 1923 previde che il demonio sarebbe venuto sulla terra non sottoforma di capra, ma in forma di denaro. Ma poi per avere che? Per avere la barca, la villa…! Questo accade perché sono persone vuote e il vuoto non si riempie con il denaro. Quando si riuscirà a insegnare alle nuove generazioni che il denaro serve sì per vivere, ma che è da disprezzare dopo un certo punto, forse ci sarà qualche speranza.

Le tue sculture sul maggiociondolo, ma anche su altri legni, entusiasmano gente comune ed esperti. Parlaci della delicatezza dei corpi femminili che scaturiscono da un legno tanto duro quasi fosse roccia. 

Chi ha durezza esterna, ha sempre il cuore tenero. Il maggiociondolo non è il mio legno preferito, adoro il pino cembro, perché è dolce e profumato. Quando lo lavori ti viene incontro con il suo profumo che dura tutta la vita. Il maggiociondolo è un legno diverso ed è fasciato da venature particolari. Il corpo femminile possiede delle dolcezze, delle curve, parlando in senso artistico, che si adagiano perfettamente al maggiociondolo levigato e scolpito. È un legno che rispecchia la vita. Invecchiando si scurisce, come noi. Diventando vecchi si diventa più taciturni, più scuri, più ombrosi e anche più deboli. La stessa cosa accade al maggiociondolo. Nel momento in cui lo scolpisci, lo scopri, lo metti a nudo e da quel momento in poi va incontro alla vita. A quel punto prende coscienza di quello che lo circonda e si lascia andare.

È un po’ triste come rappresentazione?

La vita è triste, è infame, ma in questa decadenza si può anche imparare a cantare, come fa il gallo che tutte le mattine canta, anche se ha sempre le zampe nella merda. Anche Naomi Campbell o Claudia Schiffer finiranno raggrinzite. Il problema non è invecchiare. La formula è: invecchiare senza aver perso tempo in stupidaggini. Conosco gente che potrebbe godersi la vita e invece continua ad ammazzarsi di lavoro. Io sono fuori da certi meccanismi, non li coprendo. La vita si scrive in brutta copia, diceva Ernesto Sabato. Hai un’occasione sola, e non andrebbe sprecata.

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